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Prima di abbandonare il mio corpo a un sonno ristoratore, libero il cuore per accendere ancora una volta i miei sogni. Ho tra le mani il libro del Prof. Eugenio Borgna ‘La fragilità che è in noi’ che davvero consiglio spassionatamente a tutti e il mio occhio si ferma su una frase che ho sottolineato ‘Certo, come la sofferenza passa, ma non passa mai l’avere sofferto, così anche la fragilità é un’esperienza umana che, quando nasce, non mai si spegne in vita, e che imprime alle cose che vengono fatte, alle parole che vengono dette, il sigillo della delicatezza e dell’accoglienza, della comprensione e dell’ascolto, dell’intuizione che  si nasconde nel dicibile.’ Il mio pensiero vola immediatamente a un’immagine che anche oggi ha catturato il mio cuore, una di quelle immagini a cui non ti ci abitui mai. Scendendo i gradini della Stazione Centrale di Milano, su una panchina di pietra un uomo rannicchiato nella sua fragilitá, in quell’inquietante dimensione di vita che non appartiene a nessuno, nemmeno a se stesso. Mi fermo nel tentativo folle di rispondere alla domanda … Qual’è il limite sottile che differenzia l’esistenza dell’essere dall’esistere? Rivedo l’immagine di me che scendo i gradini senza riuscire a staccare gli occhi da quel Cristo che abbiamo inchiodato alla croce e che invece è lì per accarezzare il mio cuore, facendomi riabbracciare il senso della gratitudine proprio per quella fragilità che mi accomuna a quell’uomo steso sulla panchina, avvolto nel suo dolore, nella solitudine di un mondo che corre, ma che forse non ha ancora ben capito dove deve andare. Milano, metropoli, città delle infinite contraddizioni, del mondo che non si ferma mai, che fa business, del mondo che va a caritare, delle mille provenienza, cittá di chi parte e di chi arriva. Ancora una volta sono i viaggi a destare il mio desiderio di raccontare un mondo meraviglioso nella sua imperfezione. Le dita sulla tastiera non reggono la velocitá delle emozioni. Ricordo i volti di chi mi stava accanto, vedo una giovane indiana sistemare i capelli alla sua bambina, studenti alla prese con l’ultimo ripasso, professionisti abbarbicati in vestiti eleganti fare i giocolieri tra cellulari e tablet, giovani africani parlare un linguaggio incomprensibile. Scendo dalla metropolitana e dopo essere riemersa dalla subway cammino tra le vie del centro, sento uscire dalle portinerie dei palazzi un profumo inconfondibile, misto di vita e lavoro il custode ora non viene più dal sud, ma dall’Oriente. Mi sono spostata da casa di soli 200 km e mi sembra di essere stata all’altro capo del mondo. Forse la fragilitá è questo sentirsi parte dell’Universo che brilla anche dove non credi, perchè in fondo è solo con il buio che puoi vedere le stelle. Buon viaggio mondo ora e sempre e grazie per tutto!